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Da quando Facebook  esiste, Chuleekorn Ruengvuthchanaphuech di Bangkok può comunicare senza problemi con Luciano Torrini di Sulmona. Entrambi conoscono l’inglese, e tanto basta. Raccontarsi il rispettivo quotidiano li aiuterà a mantenere vivo un legame altrimenti destinato a sciogliersi nel giro di un paio di voli d’aereo.

 

Senza Facebook, Natalia82 non avrebbe mai conosciuto Poeta d’Amore e le loro conversazioni telematiche non si sarebbero mai trasformate in un reale dopocena allo Zodiaco, lassù in cima a Monte Mario.

 

Grazie a Facebook, le spille di Federica hanno una clientela. La pagina “Federica e i suoi gioielli” raggiunge ormai più di trenta visite al giorno,  incoraggia l’artista a coltivare le sue velleità creative, ad accantonare in un angolo del salotto piumino, timori e sensi di colpa. Almeno per un paio d’ore al giorno.

 

La compagnia teatrale Gli Smascherati organizza spettacoli ogni venerdì. Continua a credere nel proprio sogno, continua a sopravvivere di teatro indipendente. Se Facebook non esistesse, ogni venerdì un pubblico di sole mamme assisterebbe alla performance. Se Facebook non esistesse, Gli Smasherati avrebbero forse già sciolto le righe da tempo.

 

Facebook ha permesso e continua a permettere che il diritto all’informazione esista in qualche modo anche là dove chi desidera sfidare la morte, non deve necessariamente considerare il  bungee jumping. Perché anche solo restando sotto il proprio tetto troverebbe di che tremare.

 

Facebook è poi spesso fastidiosa sostanza urticante anche per le coscienze più indolenti. Perché la foto di una microscopica manina africana ormai priva di energia riesce sempre a smuovere qualcosa, laggiù nel profondo dentro. Quasi certamente, la sua visione non ci farà alzare dalla sedia furenti e indignati, non ci spingerà a sbattere a terra le nostre lampade da scrivania, non ci convincerà a infilare le chiavi in tasca, a correre in direzione dell’ufficio Poste Italiane più vicino, a versare un bonifico a favore di un’associazione umanitaria. Eppure, quella foto ci avrà catturato per un paio di secondi almeno, avrà instillato in noi anche solo un vago senso di disagio.

 

Nei casi più fortunati, che certo non sono frequentissimi ma che comunque esistono, Facebook è amori impossibili che si trasformano in rapporti indissolubili, è creatività che diventa opportunità di lavoro, è solitudine disperata  che scompare. E’ primavera araba che divampa. E’ stata e continua ad essere rivoluzione. Che figata.

 

 

Vado a prendere un po' d'aria con Orietta

Però, esiste un TUTTAVIA. Perché in tutte le storie esiste il Tuttavia.

Se per un momento soltanto dimenticassimo tali impegnative questioni, se davvero solo per un momento mantenessimo le nostre riflessioni ancorate a bassa quota, laggiù, nel bel mezzo del semplice quotidiano, lo vedremmo subito. Lì, dritto davanti a noi, il nitido Tuttavia.

 

Facebook è stupendo perché ci rende protagonisti delle nostre vite. La platea che ci regala ha centinaia di posti, orientati su più livelli e tutti in direzione di un unico grande schermo. Il nostro schermo. E sul nostro schermo, ecco noi. L’aragosta mangiata al matrimonio del compagno di università, l’abbraccio con #mybestfriend lungo la battigia di Ostia, il bacio con il fidanzato al parco in occasione della prima vera giornata di sole (#sunnyday #youaremylove #lovetime), l’orsacchiotto dell’infanzia ritrovato durante il cambio di stagione, il nostro gattino nella scarpa, il nostro gattino sulla tastiera del computer, il nostro gattino cresciuto, il nostro gatto, alcuni cani ammazzati brutalmente grazie ad una sommaria conoscenza di Photoshop, il momento bello della giornata (#relax #sunnyday #lovetime), il momento brutto della giornata (#veodiotutti #badday #studiotime), il momento inutile della giornata (#machestoaffà #nonloso #ciaociao). Perle vere. Perle di noi. Perle da condividere. Perle che certamente anche il compagno di terza elementare perso di vista diciannove anni fa apprezzerà. La platea le apprezzerà.

 

E apprezzerà anche i nostri gusti musicali. Perché lo abbiamo scritto: a noi piacciono i Pink Floyd, i Led Zeppelin, ed anche Jim Morrison. Ovviamente. Kurt Cobain, poi, è un grandissimo. Come d’altra parte i Beatles e i Queen. I Queen, signori. Voglio dire, i Queen! Che poi, a me, piace anche Primo & Squarta, perché mi aggiorno pur apprezzando il Classic. Natalie Imbruglia e Alanis Morisette invece no. Così, per sicurezza.

Ora che l’ho detto mi sento bene. Ed è tutto scritto. Nero su bianco. Ci sono anche le figurine dei cantanti. Le vedi nella sezione Informazioni/Musica.

Ti giuro. Vacci e controlla. Dai.

Che poi, mi viene da pensare: se a me, poniamo il caso, piacesse Orietta Berti, a te fregherebbe?

Cioè, nel caso, quali coordinate cambierebbero nella tua vita?

Nessuna?

Lo stai dicendo seriamente?

E allora basta.

Te lo dico. Lo dico a te e a tutte le poltrone amichette tua, lo dico senza paura: a me Orietta Berti piace veramente. Mi piace pure Toto Cotugno, e i Ricchi e Poveri erano dei fighi de nniente. Se poi non li conosci mi dispiace recupera sei ignorante te. E Kurt Cobain sarà stato pure bono ma comunque cantava de mmerda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dobbiamo e vogliamo rispondere alle aspettative della platea. Ma queste non corrispondono, sempre ed esattamente, ai nostri fuggitivi e complicati pensieri. Questo è il tuttavia.

 

A chi, iscritto a Facebook o meno, sa che dietro ad un profilo resta sempre una nuca da scoprire. Un’Orietta Berti da scovare. A costoro è dedicato IL LIBRO DELLA NUCA: un album raccontato di vite senza volto, portatrici di mondi silenti non sponsorizzati da profili on-line.

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